Comunicato sulle Nuove indicazioni 2025 Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione

Pubblicato il 24 Marzo 2025

Pubblichiamo  – invitando le socie e tutte le persone interessate a darne la massima diffusione  – il Comunicato SIS relativo alle Nuove Indicazioni 2025
Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione.

Comunicato:

Abbiamo letto con attenzione i Materiali per il dibattito pubblico relativi alle Nuove indicazioni 2025 per la Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione e sentiamo la necessità di prendere la parola, come il documento stesso auspica.

Nel testo, piuttosto confuso e contradditorio nell’impianto metodologico, non mancano passaggi oscuri e interpretazioni storiografiche superate e a dir poco discutibili. Citare Marc Bloch, decontestualizzando la sua visione storiografica a sostegno dell’asserzione che solo l’Occidente ha prodotto una conoscenza storica, pare difficilmente conciliabile con l’idea di una storia lontana dalle fonti che abbia come fulcro “la sua dimensione narrativa”. Altrettanto problematico appare associare tout court il concetto di libertà alla civiltà “occidentale” fin dalla sua nascita.

La sezione dedicata all’insegnamento/apprendimento della storia, anche in contraddizione con alcuni passaggi della premessa, non sembra tener conto degli esiti delle ricerche scientifiche sulla didattica disciplinare, presentandosi piuttosto come frutto di una chiara presa di posizione ideologica, che si palesa chiaramente persino nella distribuzione dei contenuti nei diversi anni.

Tuttavia, al di là di un’esegesi puntuale del testo proposto, su cui siamo naturalmente pronte a confrontarci con la Commissione, quello su cui ci preme concentrarci è la visione di scuola che le Indicazioni delineano. Ci sentiamo lontane da una scuola rigidamente gerarchica, in cui il sapere storico è un pacchetto pre-confezionato da somministrare, senza alcuna valutazione del contesto in cui si lavora, a studenti considerati come soggetti incorporei e astratti.

Il nostro percorso di ricerca e di insegnamento ci mostra che un’altra scuola è possibile, una scuola in cui crescere cittadinǝ responsabili e capaci di spirito critico.

Alla luce delle ricerche condotte nell’ambito della nostra associazione sulla violenza di genere in prospettiva storica e delle iniziative di formazione organizzate negli ultimi anni sul tema, guardiamo con preoccupazione anzitutto a quanto le Indicazioni propongono sull’educazione alle relazioni. È opinione di chi ha redatto il documento ministeriale che la violenza di genere sia una “triste patologia”, che va contrastata attraverso la comprensione della “complementarità delle rispettive differenze”, attraverso un’educazione “del cuore”. Non stupisce che in queste pagine sia riproposta quella visione essenzialista fondata sul binarismo e sulla complementarità dei generi che è essa stessa matrice della violenza contro le donne, e non si tenga in nessun conto la necessità di percorsi di educazione al genere, alle differenze di genere e all’educazione sessuo-affettiva. La promozione di una cultura del rispetto, di percorsi educativi che sappiano essere efficaci strumenti di contrasto e prevenzione delle discriminazioni e della violenza necessita di una proposta complessa e di una messa a sistema delle conoscenze e delle competenze relative al genere, alla violenza di genere e alla sua natura culturale e strutturale. In questo quadro, la storia può efficacemente contribuire all’individuazione delle dinamiche sociali e politiche che possono attenuare o rafforzare il fenomeno.

Da un punto di vista complessivo, gli studi di genere, e nello specifico le riflessioni condotte in ambito pedagogico e didattico, hanno portato a mettere in discussione i termini della relazione educativa e della condivisione dei saperi, per costruire pratiche democratiche e non autoritarie. Le “nuove” Indicazioni Nazionali ci propongono un modello di scuola gerarchico fondato sulla trasmissione di contenuti, sulla centralità della figura del “Maestro” – a fronte di un corpo docente composto per la maggior parte da insegnanti donne –, sull’educazione al “principio di autorità” e sull’accettazione delle regole. Un modello di scuola definito attraverso un linguaggio antiquato che non soltanto respinge le acquisizioni pedagogiche, disciplinari e didattico-disciplinari dell’ultimo secolo, ma che non vede e non riconosce la pluralità e la complessità che abitano le scuole.

A dispetto di un’antistorica prospettiva nazionalista, eurocentrica e neocoloniale, che propone ancora una volta la cultura occidentale come fulcro e metro del mondo, abbiamo bisogno di rendere visibili le differenze di genere, socio-culturali, di età, di abilità e di valorizzarle nei percorsi formativi, nei curricoli e nei libri di testo. Il che non significa proporre una storia militante, ma considerare le consolidate acquisizioni degli studi postcoloniali e le contaminazioni tra ambiti disciplinari, non soltanto in considerazione della composizione multiculturale delle nostre classi, ma anche al fine di educare/educarci tutte e tutti alla complessità e alla convivenza democratica.

Oltre al rinnovamento dei canoni disciplinari, abbiamo bisogno di continuare a lavorare in direzione di una ridefinizione della relazione educativa attraverso la valorizzazione dei soggetti che la realizzano, dei loro corpi, delle loro esperienze e delle loro conoscenze, riconoscendo la loro dignità. Questo comporta il necessario superamento della dimensione trasmissiva e la considerazione dei saperi quali costruzioni collettive in continua trasformazione. La condivisione delle riflessioni intorno all’epistemologia disciplinare e delle metodologie della ricerca storica, con specifico riguardo per il genere, è una risorsa fruttuosa per la didattica, se opportunamente calata nei contesti in rapporto all’età dei/delle giovani studenti. L’avvicinamento graduale alle fonti, ai problemi che pongono, alle interpretazioni che ne sono state date, alle riletture continuamente operate dagli studi storici non solo sollecita il pensare criticamente ma invita anche alla considerazione dei saperi come sistemi di conoscenze che si arricchiscono e si trasformano, in un processo condiviso. Tuttavia, se la storia deve servire a giudicare il passato, a essere consapevoli del bene e del male, come propongono le Indicazioni Nazionali 2025, evidentemente non occorre potenziare queste competenze.

Riteniamo, infine, che queste indicazioni, più che proporre un orientamento generale, promuovano, in particolare per quanto riguarda l’insegnamento storico, un quadro prescrittivo, che fornisce precise istruzioni di contenuto e metodo all’insegnante. Ci sembra, allora, non inutile sottolineare che, qualunque sia il conto in cui la Commissione vorrà tenere la “discussione pubblica” che la bozza ha promosso, come era suo fine, la libertà d’insegnamento rimane un principio cardine della scuola pubblica, tanto da essere inserito nella stessa Costituzione.

 

La Commissione didattica della Società Italiana delle Storiche