Appello – “Dal margine degli studi di genere: una proposta politica”

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Pubblicato il 18 Maggio 2013

Dal margine degli studi di genere:

una proposta politica

Le voci di protesta che si sono levate in seguito alla chiusura del corso di “Studi di genere”tenuto da Laura Corradi all’Università della Calabria, stanno facendo finalmente emergere sotto gli occhi di tutte e di tutti un quadro grave e inquietante, che conferma come gli studi di genere siano una questione politica. Tale quadro va letto, a nostro parere, su diversi piani. Innanzitutto è necessario collocare questa vicenda in un orizzonte più generale che riguarda lo stato delle università italiane, dove i criteri del finanziamento pubblico e l’ingresso di forme di finanziamento privato privilegiano alcuni ambiti e oggetti di ricerca e ne marginalizzano, o escludono, altri. In particolare, le facoltà umanistiche sono sempre più penalizzate anche in termini economici rispetto alle facoltà scientifiche, specie se in queste ultime la ricerca verte sulla produzione bellica, sulle nanotecnologie, sugli strumenti tecnologici di controllo sociale.

Il piano successivo è quello che riguarda nello specifico gli studi culturali e, soprattutto, gli studi di genere. Generalmente le tematiche di genere vengono trattate in modo quasi clandestino all’interno di corsi o moduli che portano un altro nome, oppure vengono relegati a “parte seminariale” afferente a un corso specifico. Se, invece, com’è il caso dell’insegnamento tenuto da Laura Corradi, esso si colloca apertamente nell’ambito degli studi di genere, accade che venga cancellato da un giorno all’altro.

Dal nostro punto di vista, limitarsi a sostenere l’importanza degli studi di genere come una sorta di “valore aggiunto” nell’offerta formativa di questo o quell’ateneo rischia di essere controproducente e mistificatorio. Vogliamo, infatti, guardare la questione da un altro punto di vista e riteniamo che l’ostracismo contro gli studi di genere e/o la loro cancellazione siano il prodotto della cultura dominante in Italia: una cultura – se così la si può chiamare – che da una parte tende a ipersessualizzare le donne e dall’altra nega loro gli strumenti di critica e di autonomia.

Inoltre, con un intero apparato scolastico uniformato su un’offerta che è in realtà più informativa che formativa – basata, quindi, sulla passività della/del discente – gli studi di genere rappresentano senz’altro un’eresia, poiché propongono un approccio complesso e intersezionale, non nozionistico ma critico, non unidimensionale ma interdisciplinare.

Gli studi di genere offrono, in sostanza, delle griglie interpretative aperte e multiformi, stimolando a uno sguardo complesso e non riduttivo sull’esistente. E, ancora oltre, questo sguardo critico produce strumenti concreti di lavoro contro le discriminazioni e la violenza di genere, incluse le forme di razzismo e omo/transfobia – una ragione, questa, per cui dovrebbero essere inseriti nei curricula già a partire dalla scuola dell’obbligo. Invece, la realtà dimostra che chi è interessata/o ad acquisire o a sviluppare questi strumenti deve andare all’estero, poiché in Italia vige una sorta di censura della ricerca, della produzione teorica e del dibattito su questi temi. Sappiamo per esperienza quanto sia penalizzante, in sede di concorso o di abilitazione o anche solo di semplice partecipazione ai bandi per contratti di docenza, avere nel proprio curriculum pubblicazioni inerenti queste tematiche.

L’ostracizzazione e la cancellazione degli studi di genere, torniamo a ripetere, vanno dunque annoverate tra gli effetti del sessismo e del razzismo pervasivi e trasversali che sono dominanti in Italia. Al proposito ci teniamo a sottolineare come sia l’intero Paese, e non solo la Calabria, a rivelare l’urgenza di sviluppare strumenti efficaci per contrastare l’involuzione culturale che tende a coartare ancora una volta le donne, insieme alle soggettività che esprimono modelli di sessualità non conformi, in un ruolo subalterno e dipendente.

Ciò che è avvenuto all’UniCal non è che lo specchio di un processo in atto da anni in tutto il Paese. Non vogliamo quindi, limitarci a dare la nostra più sentita solidarietà a Laura Corradi, o a chiedere a uno specifico ateneo di non chiudere un determinato corso. Vorremmo invece invitare tutte e tutti coloro che operano nell’ambito della trasmissione dei saperi a partecipare a una riflessione più ampia sugli obiettivi dell’istruzione pubblica oggi in Italia (dalla scuola dell’infanzia all’università) e sull’importanza dell’apporto non solo teorico ma anche pratico che gli studi di genere hanno o possono avere nella formazione e nella vita – lavorativa ma non solo – di ciascuna/o, per trovare insieme strategie e strumenti per un’azione efficace contro la restrizione degli spazi di dibattito, ricerca, formazione.

Prime firmatarie: Nicoletta Poidimani, Liliana Ellena, Sonia Sabelli, Sabrina Marchetti

 

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